Seguo ramingo, sin fissa dimora,
randagio vago inquieto e ancor ricerco,
remoto ormai da qualsivoglia alterco,
mia Itaca promessa, disti ancora.
Una ferita antica in me lavora,
son pianta che, sommersa dallo sterco,
levarmi per dar frutto almeno cerco,
e tollero il dolor ch’in me dimora.
In marcia! Si riparte, in alto mare,
la ciurma si rinnovi e m’accompagni
nel mio peregrinare senza fine
per chi si sente a viver vita incline
e dentro la palude non ristagni,
del darsi me sacrifico all’altare.