Non son rosee, ma oscure membranze,
degli atroci crociati causati
ch’io per mezzo di dimenticanze
nella nebbia rimossi schiacciati
quei peccati di chi governava
con la boria di chi giammai erra,
mentre infìda la sposa sua dava
dolci frutti e frattanto sotterra
ogni indizio che mostra il sentiero,
per uscire dalla cittadella,
per distoglier da cerca del vero
mentre un tiepido pasto cesella.
Liberarmi di quelle catene
ebbi il compito ingrato quel giorno
coi miei occhi di lacrime piene
feci al mare un gradito ritorno.
Era gelida notte e permasi
in balia di quell’acque salate,
della spuma gli scogli ormai invasi
e di quelle mie gote rigate.
Eran lì che fluivan brucianti
traboccando e sciogliendo ogni laccio
che m’artava in paludi stagnanti
di quel gregge recluso all’addiaccio.
E fu allora che vidi me stesso,
proiettato in avanti, deciso
di lasciar tutt’indietro indefesso,
pur da vecchi compari ormai inviso.
E mi veggo quest’oggi più forte,
vincitore di tante battaglie,
pur afflitto da spine contorte
che nel cuore mi fan rappresaglie.